Roberto Fregna, Progettare la morfologia, Aversa

Da qualche tempo si è imposta una riflessione sullo stato delle città e il grado di reale competitività che esse mantengono oggi nel mondo dell’accelerata terziarizzazione. Nuove modalità di crescita si intrecciano alla capacità di attrarre funzioni privilegiate e investimenti destinati a vivificare molti centri storici, al Sud in particolare. Il futuro è di chi saprà valorizzare la propria storia creando nuove opportunità, interpretando e ripensando in maniera intelligente lo spazio urbano, facendo affiorare identità capaci di suscitare riconoscimenti culturali e forze economiche per competere su di un mercato che si presenta agiato e sempre più esigente. Ciò comporterà processi di sviluppo e di declino accelerati: quelle città che non sapranno fare i loro conti sono destinate a scivolare velocemente verso il degrado, quelle che sapranno affrontare le scommesse del futuro avranno una nuova età di sviluppo.
Sugli strumenti con cui affrontare la pianificazione e sui progetti, si misurerà quindi la capacità di rinnovamento edilizio, a volte secondo processi di ”sottrazione” attuati in quelle aree in cui è prevalsa la mera quantità edificatoria, altre volte riprogettando i vuoti urbani rimasti privi di una identità propria, come ad esempio nel caso di Aversa - “lacune nella compattezza del centro antico”.  La città di Aversa riserva infatti, all’interno dell’insediamento normanno, ampi ”vuoti” che risultano dalle discontinuità congenite all’ampliamento dei circuiti murari che si sono succeduti segnando l’interruzione con le successive fasi della crescita edilizia. “Tenendo conto che la città per ragioni interne alla sua storia economica non ha subito il ricompattamento che tipicamente ha addensato i maggiori dei nostri centri...- prosegue Polito -...questa discontinuità non è quindi da intendere un dato permanente, ma un elemento dove la struttura mostra ancora di potere evolvere...”. Da questa analisi esce un disegno di “ridefinizione” urbana e un progetto economico che rimette in gioco all’incirca quattrocentomila metri cubi di edificato, che potrebbe figurare bene nei più recenti strumenti d’intervento pubblico e privato finanziati nell’ambito dei PRUSST. Il lavoro presenta infatti una proposta che pone la questione dell’identità urbana secondo un procedimento di riprogettazione morfologica e funzionale che interessa le aree di maggiore impatto (il vuoto di Piazza Marconi, il recinto dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario ecc.), nel loro insieme comprese in un disegno urbanistico che riporta il Castello Aragonese nel ruolo di cerniera, già svolto storicamente nell’organizzazione urbana, trasferendovi la sede del Municipio e dei servizi cittadini.
Convinto che tocchi al progetto rifondare quelle “virtù del fare” trascurate e messe in discussione da un’architettura intesa come pura comunicazione, Salvatore Polito (prima a Napoli, a Bari ed ora ad Aversa), va costruendo un “elogio” della progettazione che restituisce all’architettura lo spirito critico di una meditata azione di rinnovo della città storica che rifiuta la smania diffusa di “etonnée”. Decisamente una “didattica” virtuosa, che rinuncia all’uso dei simboli massmediatici creati dalla comunicazione virtuale dell’immagine, e propone un programma di “riscrittura” urbana e di ricerca scientifica della forma dell’architettura strutturata nei volumi, nei pieni monumentali, negli spazi delle piazze e delle strade. Ne scaturisce un arcipelago di soluzioni diverse dotate di una struttura logica coerente che usa la condizione del progetto per assimilare forme culturali storiche e proporre spazialità conquistate con forza convincente. Se dunque esiste una identità dell’architettura in Aversa, come a Napoli o a Bari, essa non va cercata nella permanenza dei caratteri tipologici (ogni edificio è un monumento a sé qui come a Napoli o a Bari) o nella continuità degli stili, quanto piuttosto nella longue durée insita nel meccanismo di formalizzazione logica dello spazio, secondo un metodo che stabilisce gerarchie e regole tra le cose costruite, che opera per“distinzione”, ordinandone la proporzione e valutando - per dirla con Vitruvio - “la commensurabilità delle parti stesse l’una nei confronti dell’altra, nei confronti del tutto...”.