Cefalù, monumento e contesto, 1984

con Ludovico Fusco, F. Domenico Moccia

Conviene iniziare la lettura del monumento proprio dalla sua immagine più divulgata, quella del duomo-fortezza, rispetto al programma costruttivo ipotizzabile. La figura del duomo-fortezza ci deriva dall’emergenza delle due torri, ma si potrebbe nutrire il dubbio che sia un risultato accidentale dovuto al mancato completamento in altezza della navata. L’abbassamento dell’arco trionfale e il digradare della sezione del transetto verso il mare sono indizi che fanno immaginare una diversa impaginazione della volumetria: le due torri risulterebbero proporzionate in misura completamente diversa se riportiamo l’altezza della navata all’arcata superiore costruita all’incrocio col transetto. La depressione della navata ha provocato l’isolamento della veduta frontale a svantaggio della percezione d’insieme. La contraddizione del programma costruttivo, tuttavia, ha determinato la singolarità dell’icona segnata dalla prevalenza dei campanili, anche diversificati alla sommità per simboleggiare la rappresentazione dei due poteri.
All’interno l’incerta definizione del sistema delle coperture – l’unica volta a costoloni è sul lato destro del transetto – e l’eliminazione, con il restauro ottocentesco, del sistema continuo della decorazione settecentesca hanno accentuato l’autonomia del santuario, concluso dal mosaico del Cristo Pantocratore, mentre la scansione dello spazio basilicale è misurata dalla successione del duplice colonnato. Ripercorrendo le navate in senso inverso , risulta essenziale la continuità con il sagrato, la cui ampiezza, determinata dalle diagonali che partono dalle torri, è pressappoco uguale a quella dello spazio basilicale. Si definisce così in modo inequivocabile lo spazio di immediata pertinenza del Duomo – anche se non è l’ambito in cui si esaurisce l’esperienza estetica del monumento: dal sagrato, esclusivamente misurato rispetto alla chiesa e fortemente isolato per la rotazione dettata dal suo asse, lo spazio circostante sarà in ogni caso uno spazio di risulta, per cui appare possibile ribaltare il problema della piazza dal Duomo al sistema ippodameo attestato sul Corso, rispetto al quale ne andrà successivamente ricercata la misura.
La demolizione degli ambienti aggiunti alla navata destra, insieme alle cappelle prospettanti all’interno, se è giustificabile nell’ottica del ripristino dell’unità architettonica, sul fianco esterno lascia irrisolto il problema dello spazio di risulta che si è venuto a formare rispetto al percorso in salita e al caratteristico nucleo di case medioevali sotto la rocca incombente. Si è aperto così un cannocchiale troppo ampio su un fianco la cui percezione deve avvenire secondo un percorso tangente e molto ravvicinato che consenta solo una visione separata degli elementi fino ai dettagli costruttivi e decorativi. Dal borgo il percorso si sviluppa organicamente attraverso lo stretto varco che introduce alla campagna a terrazze che, senza soluzione di continuità, si accosta alle absidi. E’ una percezione in tono minore che progressivamente si evolve nella scoperta del rapporto tra l’architettura emergente e la rocca.
Sul versante settentrionale il chiostro e la successiva saldatura del vescovado creano un intervallo che sposta l’immagine del Duomo in una prospettiva aperta tra il mare e la rocca, sulla quale si collocano con ben altra forza le masse poderose delle absidi, strutturate in una chiara volumetria di indubbio valore iconografico. L’isolamento del santuario contro la rocca, accentuato dall’andamento fortemente orizzontale del corpo della navata, e la scansione dei tre livelli del transetto, inversa all’asse principale e orientata proprio su questo versante, creano una prospettiva che digrada attraverso il chiostro e gli orti fino al bastione sul mare.
Dalla lettura svolta pare di poter concludere che la percezione del monumento avviene per sequenze isolate e discontinue ma compiute e ogni volta diverse. Per esaltarne il carattere, il progetto dovrebbe limitarsi a individuare e isolare ogni volta il contesto delle singole icone: il sistema urbano definito dal Corso, il borgo medioevale e la campagna retrostante, il mare e la rocca, il mare e la città.

I. Nel sistema urbano, caratterizzato dalla permanenza dell’impianto ellenistico, straordinariamente compatto e finito, il Corso svolge compiutamente la sua funzione. La centralità urbana non è il semplice risultato di un uso ma una funzione prevista fin nelle soluzioni architettoniche. Mentre gli slarghi scandiscono la presenza degli episodi maggiori,  la frequenza di dettagli architettonici, come i cantonali di pietra agli angoli degli isolati, sottolinea il ruolo riconosciuto alla strada. L’autonomia dell’impianto, una volta realizzato l’adattamento al sito, esclude il rapporto con il Duomo e il paesaggio.
  La  ristrutturazione a municipio del vecchio convento e l’organica disposizione delle testate degli isolati disegnano con chiarezza la piazza appoggiata al Corso: ma dal Duomo la piazza torna a essere un vuoto sul cui bordo la città è organizzata separatamente. Tra la piazza – misurata come tale solo tra il Municipio e i due palazzetti d’angolo – e il sagrato non va dunque  cercata una continuità spaziale, ma piuttosto sottolineato quel vuoto, la soglia, dover città e monumento si scoprono e si confrontano.
Eliminati i modesti tentativi di configurare la piazza fino al Duomo, si presentano diverse possibilità da verificare. Un’attenta rilettura del sistema delle pendenze può condurci a una risistemazione del piano inclinato dove, eliminata la continuità, si individuano: a) l’area di pertinenza della piazza del Corso, dove andrebbe quasi annullata l’attuale pendenza in modo da sottolineare l’uso; b) l’area di accesso al sagrato, che andrebbe meglio connessa al sistema del borgo realizzando uno zoccolo di raccordo con la chiesa adiacente, utile anche a ridurre l’introspezione sulla piazza; c) l’area intermedia di passaggio, di collegamento di tutti i percorsi affluenti.
Ridisegnato il sistema delle quote, se si ritenesse opportuno modificare l’attuale esposizione del Duomo verso la piazza, per accentuare la separazione basterebbe eliminare la visione dalla piazza inferiore del piano di imposta del sagrato. La costruzione di un recinto aperto verso il Municipio sul filo superiore dei due palazzetti laterali, e al cui interno si svilupperebbero le scale di raccordo, creerebbe una percezione del Duomo molto simile a quella che si ha dall’interno del cortile del vescovado. Naturalmente sarebbe possibile spingere la separazione fino all’identificazione di due sistemi chiusi e contrapposti edificando un nuovo lotto che circoscriva la piazza inferiore e determini un’introspezione calcolata verso il Duomo. Parallelamente al Duomo, l’asse in prosecuzione dello spigolo del campanile destro sembra il più adatto a circoscrivere il nuovo lotto da attestare, dopo l’intervallo della sede stradale, in corrispondenza dell’edificio sul lato sinistro della piazza -  ne risulterebbe un invaso aperto verso il Municipio che tende a chiudere il cono ottico sul Duomo. In questo caso la separazione, oltre che ottica, sarebbe anche d’uso perché escluderebbe definitivamente la contemporaneità tra il Duomo e la vita quotidiana della piazza.

II. Parallelamente al sistema limitato dal Corso si sviluppa, altrettanto compiutamente e organicamente, il sistema del borgo medioevale. Riconosciute le caratteristiche tipiche del tessuto, adattato tra le pendici della rocca e il sistema di collegamenti col Corso, per sottolinearne il carattere singolare e alternativo al primo sistema, è necessario segnalare l’ingresso ancora prima di entrare su Corso Ruggero - è possibile realizzarlo su via Umberto I, all’altezza della chiesetta esistente. Il percorso si conclude sulla forcella che smista tra la piazza del Municipio e il sagrato; in questo caso la scoperta avviene secondo un asse tangente alla facciata, schema percettivo tipico nelle città medioevali. La casa d’angolo con il cantonale in pietra che segna la direzione d’ingresso al Domo, avvia contemporaneamente all’estrema propaggine del borgo tra la rocca e il transetto. Arrivati sullo slargo delle ultime case, il rosone del transetto, quasi appena emergente sul livello stradale, dialoga direttamente con la dimensione arcaica delle case. E’ una percezione ancora nuova e diversa del monumento, da isolare per esaltarne l’inconfondibile contrappunto. Un opportuno diaframma che separi la quota del cortile che fiancheggia la navata e il percorso in salita verso le absidi, darebbe il carattere di corte chiusa allo slargo e eliminerebbe il cannocchiale che attualmente inquadra il Municipio. In perfetta continuità – a tal punto si è consolidato su questo versante il rapporto tra il monumento e l’ambiente – dallo slargo si apre il passaggio che scopre le absidi. La sezione digradante con cui le tre absidi emergono è da riferire probabilmente a un fenomeno naturale di assestamento del terreno ( solo la struttura della prima abside affiora infatti direttamente dalla linea di terra ), ma l’eventuale tentativo di liberarne l’intero perimetro non deve alterare l’equilibrio esistente.

III. Il borgo dove si conclude il Corso e la confluenza del percorso che fiancheggia il vescovado segnano l’uscita dalla città sul versante settentrionale: da qui il Duomo riappare collocato direttamente nel paesaggio tra la rocca e il mare. Intervenendo sul sottile bordo costruito sulla mutazione prospiciente l’orto del vescovado – eliminando quindi le poche case alzate sullo spessore della fortificazione – è possibile dilatare enormemente, eliminando ogni presenza estranea, l’immagine del santuario tra la rocca, i giardini degradanti, la murazione e il mare. Il sacrificio delle semplici case del borgo restituisce integrità assoluta all’immagine e ne fissa la memoria per un futuro immodificabile.
  Nel proporre il riuso di questo ambito - da ritenere esteso fino alla sommità della rocca – va confermata l’esigenza di rispettare il significato degli elementi: se i giardini dovranno mantenere la peculiare caratteristica agraria, neanche si dovrà mai sminuire il carattere d’inviolabilità della rocca.

IV – Il rapporto tra il monumento e la città riporta direttamente al programma dell’iniziativa di Ruggero e al suo mito. Oltre la leggenda, l’ipotesi che insieme alla cattedrale fosse prevista la costruzione di una residenza regale i cui resti sono sparsi un po’ dappertutto e, man  mano che il restauro li individua, emergono fornendoci un’idea della concezione di quella città grandiosa che nella mente di Ruggero doveva essere la seconda capitale dell’isola (D. Portera), quest’ipotesi suggerisce un tema di progetto tra i più stimolanti. Sovrapporre alla realtà del paese di pescatori arabo-siculi la realtà del mito significa riportare l’intero tessuto all’originaria dimensione, accentuandone la compattezza e la semplicità, per far riemergere i capisaldi ancora esistenti del programma architettonico delle residenze ruggeriane. Nella visione del lungomare queste emergenze, successivamente arricchite da nuovi episodi come la sala ottagona e il convento sotto la rocca, entrerebbero in colloquio con le masse del Duomo – e solo in questa dimensione – realizzando un contesto adeguato alla sua immagine. Intorno a tale sistema andrebbe compattato  l’abitato storico che trova la sua definizione entro la traccia delle mutazioni. Per esaltare questo confine è opportuno recidere i prolungamenti e le aggiunte, configurando l’intervallo con le recenti espansioni e chiudendo i varchi artificiosamente creati per ragioni d’uso (il porto).
  L’elemento di relazione con la città moderna dovrebbe essere rappresentato dal lungomare, proprio l’elemento non costruito fino a oggi, mentre l’espansione edilizia ha preferito ammassarsi a ridosso della statale invadendo pericolosamente le colline. Il tema del lungomare può essere a questo punto anche rivisto come il luogo privilegiato dove si coglie nella sua interezza il rapporto tra la città e il Duomo, da definire con l’autonomia architettonica che il tema impone proprio per esaltare l’altro polo della visione.