Castel Sant’Elmo, il Castello e la città

Volendo partire da un dettaglio, il marciapiede che circoscrive il Castello rappresenta il tentativo, sicuramente inefficace, di stabilire una continuità urbana tra il Castello e la città (è vero che il Castello, all’interno del Vomero, è diventato anche il fondale di una maglia di quartiere, ma questa è evidentemente una relazione impropria, ormai vissuta come sorpresa, da correggere precisando la natura e la differenza delle parti e non può essere omologata da un “marciapiede”), un dettaglio che è necessariamente il problema da cui partire per una proposta (per noi, una incisione lungo via Angelini che libera il piede del muro e stabilisce la distanza dal corridoio stradale, una sezione che consentirebbe di ridisegnare l’intero fronte del recinto fino al piazzale).
Il problema della accessibilità al Castello è stato opportunamente ampliato a un’ipotesi di ristrutturazione e intensificazione del sistema di trasporto meccanizzato, una scelta condivisa per una doppia motivazione: per il carattere del Castello, stabilito definitivamente dal suo isolamento; per le caratteristiche del collegamento sotterraneo che consentono di accedere al Castello senza coinvolgerlo in un disegno di riurbanizzazione.
Implicita nella logica del tracciato della funicolare è la realizzazione di una fermata intermedia a servizio del Castello, da localizzare nello zoccolo di via Tito Angelini. Il carattere di servizio del collegamento non dovrebbe innescare tentativi di modificazione della natura dell’alveo che è da intendere, nonostante l’incongruo peso edilizio che ha sovraccaricato anche questo versante, come un vuoto, un’interruzione nel sistema urbano. Quella relazione a distanza tra il Castello e la città è da intendersi esclusiva e la morfologia di quell’alveo ne è un carattere fondamentale. Rispetto a questo giudizio non bisognerebbe cadere nella tentazione di “addomesticare” l’asperità del luogo per ottenere, rimodellando le pendenze, nuovi percorsi tra il Castello e .la collina.

 
 
 
  (Il Castello e la città, con Neri Salvatori)

Vale a questo punto una considerazione generale. I percorsi meccanizzati sotterranei attraversano la città nello spazio e nel tempo: quindi non ne rispettano la sequenza spazio-temporale. La conseguenza è un’evidente perdita di senso urbano, del significato di posizione dei luoghi e di connessione delle parti. A questa perdita si può ovviare selezionando i punti d’ingresso e d’uscita – di discesa e di risalita – in modo che sia possibile ricostruire mentalmente una topografia della città che restituisca il senso dell’orientamento.
Per la sua posizione dominante il Castello è sempre un polo di riferimento. Con la città il Castello stabilisce dei segnali a distanza che il progetto deve riscoprire e ampliare. Nel nostro caso la relazione tra il Castello e la città – la traiettoria dei segnali – è colta completamente lungo l’alveo scoperto di Montesanto, proprio dove opportunamente s’innesta la funicolare, a partire dall’antica porta, nodo dove confluivano i percorsi collinari d’ingresso al centro cittadino, e lungo il baluardo della mutazione. Per completare la sequenza dei segnali basterebbe liberare il fossato davanti alle case dell’Ospedale, occupato dalla debole e incerta cortina addossata per completare l’allineamento di via Tarsia, ottenendo un “vuoto” proprio alla quota dove è facilmente ipotizzabile l’area di scambio tra la metropolitana e la funicolare, l’interconnessione diretta che manca oggi alle due linee. E’ appena necessario sottolineare l’efficacia che acquisterebbero i percorsi di discesa e risalita colti dal “fossato”, l’ingresso alla città e, in alto, il Castello.
Nella stessa logica, vale la pena anticipare un dettaglio utile per la stazione di piazza Dante della nuova linea metropolitana: una discesa è realizzabile proprio sulla soglia della porta liberando la splendida volta dalle botteghe che parzialmente ne occupano un fianco. Questa sequenza di vuoti, grandi o piccoli, esemplifica la possibilità di un progetto capace di costituire una topografia di luoghi sparsi, ma significativi al punto di restituire al “viandante moderno” il senso perduto dell’orientamento.