Recupero del Padiglione L. Bianchi a Aversa, 2004-08

 

 

con Pierluigi D’Angiolella, Antonio Palmese (progetto preliminare) Carmine Maisto (progetto definitivo)

Il padiglione “Leonardo Bianchi”, per l’assenza di caratteri specialistici, ha un’immagine architettonica rigorosamente canonica:  è un modello tipologico per definizione, capace per la precisione delle sue proporzioni  di misurare lo spazio in cui si colloca come unità urbanistica autonoma che impone la distanza e l’intervallo. Il giudizio positivo sull’architettura di questo padiglione non implica un giudizio  altrettanto positivo sulla sua attualità. Se la modularità contiene la possibilità di rinnovare la funzione – avendo accettata la differenza con la concezione moderna dell’open space -, è evidente l’inadeguatezza rispetto agli standard (funzionali e di sicurezza ma anche di economia di  gestione) imposti dall’attuale normativa. Ma proprio quel giudizio dovrà limitare l’intervento di trasformazione che non potrà contrastare o stravolgere la semplice natura dell’edificio.
Senza dunque stravolgere l’impianto, ma solo operando all’interno della sua regola , la trasformazione dovrà tuttavia consentire una divisione tra due funzioni ( quella di sede delle attività formative e culturali connesse al Programma “Urban Italia” e un’altra, non ancora specificata ma, si intuisce, certamente coordinata). L’adeguamento funzionale e la messa a norma hanno imposto l’adozione di due corpi scala ubicati simmetricamente alla congiunzione delle ali (nei due vani attualmente occupati dai servizi), mentre l’attuale scala viene trasformata in torre di servizio; con la collocazione di un doppio atrio d’ingresso nei due vani centrali al piano rialzato la trasformazione dell’edificio sarà infine completata con naturalezza e legittimità tipologica – allo scopo l’aggettivazione architettonica del modulo centrale sembra già corrispondere alla trasformazione.